Si può cambiare per amore?
Ora la vera domanda non è “si può cambiare per amore?”
Perché ciò implicherebbe la necessità che uno dei due partner in una relazione faccia cambiare la natura dell’altro a suo piacimento per sentirsi più a suo agio e quindi alimentare e compiacere il proprio ego.
Quella che secondo me invece è una questione interessante è “si può cambiare con l’amore?” Cioè, l’amore è realmente in grado di farci vedere tutte le parti di noi? Siamo in grado di vedere tutti quei lati che tendenzialmente ignoriamo di noi stessi e metterli in discussione per evolvere e migliorare come esseri viventi facenti parte di un mondo sociale? Quando è realmente amore incondizionato, allora questo ci prende per mano e ci tranquillizza, ci fa fare ginnastica con qualcosa che non ci piace di noi! Ci racconta che le caratteristiche che abbiamo incarnato come scomode sono semplicemente un’attitudine o, ancora meglio, una qualità!
Beh, sarei ipocrita e superficiale se non vi dicessi che ci sono state tante corse che ho fatto verso l’amore che amore ho chiamato, tante relazioni affettive ho percorso nella mia vita e tante ho definite “amore”: quello comodo, quello passionale, quello razionale (forse il peggiore di tutti), quello giovane, immaturo, irreale, quello cortese fatto di corrispondenza e sogno. Ma non è nessuno di questi l’amore che, come tale, incarna la forza che distrugge e muta il nostro io! Non so dirvi se la richiesta di cambiare in nome dell’amore dalla vostra amata o amato abbia di base un reale sentimento o sia totalmente condizionata dall’io e dall’attaccamento a un’idea che ci facciamo di noi stessi e quindi del ruolo che l’altro dovrebbe, secondo noi, ricoprire. Ma posso dirvi che con il supporto di un sentimento puro e incondizionato si muta e si evolve.
Sì, con amore si cambia!
L’amore in greco ha molte traduzioni:
- Eros (ἔρως): L’amore passionale, che travolge e sconvolge l’individuo.
- Philia (φιλία): L’amore fraterno e l’amicizia, legati alla condivisione e al rispetto.
- Agape (ἀγάπη): L’amore incondizionato, spesso associato alla spiritualità e alla generosità.
L’immagine di cui parlo probabilmente le include tutte e tre, forme che mutano nello spazio, si riempiono, si colmano. Una compare quando l’altra viene meno, in una danza che crea disegni meravigliosi, talvolta spigolosi, talvolta morbidi. Ordinati come nella memoria dell’acqua di Maseru Emoto e penetranti disordinati.
Le once che si riempiono dal troppo pieno l’una dall’altra e non sono mai vuote. Immagino il dipinto dell’amore esattamente come 3 divinità: madre, amante e dea.
Perché l’amore ci fa vedere, indagare le Ombre da cui ci siamo allontanati, a cui abbiamo trovato delle giustificazioni per tenere intatta l’idea che vogliamo del nostro Sé; è la forza che destruttura l’io creando un cambiamento profondo. Questo richiama il pensiero di Platone nel “Simposio”, dove l’amore è visto come un ponte tra il mondo umano e quello divino. E proprio su quel ponte si lascia la ragione e si va verso l’estasi.
L’amore, care donne, non si fa con la testa. Non so voi, ma la testa mi ha fregata, persuasa, talvolta manipolata. La testa si attacca a un’idea, a un particolare felice, a una convinzione. Il cuore, invece, cerca considerazione. Il bisogno d’amore è stato studiato. Si trova esattamente nella zona del cervello dove risiedono i bisogni primari: il cibo, l’acqua, l’espletamento delle funzioni vitali. Il bisogno d’amore appartiene a tutti. E tutti, in qualche modo, sussurrante, urlante, nascosto, ne soffrono il tormento. Dare ci allena alla generosità del cuore, ma ricevere è una necessità essenziale. Famiglia, amicizie, partner, non importa la forma, ma ricevere amore è vitale per il benessere di ogni essere umano.
Aristotele diceva: “Se un uomo non sa vivere in comunità, o crede di non aver bisogno di nulla e di essere autosufficiente, allora non fa parte dello Stato, e perciò o è una bestia o è un dio.” Perché la condivisione è vita.
Ci sono studi interessanti sul bisogno d’amore in psicologia. John Bowlby e Erich Fromm parlano dell’amore come un bisogno primario, non solo un’emozione. “Ho bisogno di te perché ti amo” dice l’amore maturo, mentre quello immaturo dice: “Ti amo perché ho bisogno di te”.
L’amore autentico nasce dalla libertà, non dalla dipendenza, e il bisogno d’amore può diventare narcisistico se si cerca solo di colmare un vuoto interiore.
In questo momento della mia vita, esatto, né un passo indietro né avanti, seduta su un prato posso dire che credo che l’amore possa cambiarci e cambiare l’altro. Non parlo di un cambio di personalità, ma di prospettiva. Mostrandoci da angoli differenti parti di noi che vediamo riflesse nella persona specchio. E vorresti romperlo in mille pezzi a volte quello specchio, ma più lo fai a pezzi e più le immagini riflesse di te si moltiplicano. Quella persona per qualche motivo ti si incolla addosso e non ti si scolla più e tu ci fai i conti tutti i giorni fino a strapparti i capelli e, ad un certo punto, metti in discussione quell’odio. Cominci a riflettere sull’attaccamento, volendoti convincere che non sia veramente amore incondizionato. Lo metti in discussione perché conoscevi tutte quelle forme d’amore che amore non erano, ma erano più… più semplici forse!?
Ma l’amore non dovrebbe essere difficile, no? E chi lo dice? L’amore è ciò che ci mette in discussione. Tu a quel coglione che ti voleva meno testarda e più forte ti ostinavi a mostrarti tale e ne eri anche bella convinta. Con l’amore vero no! Perché ti rendi conto che in quella sofferenza a ogni distanza sei cresciuta, a ogni riavvicinamento ti sei cullata e poi di nuovo sei esplosa per ricomporti. Parlo di un amore in cui non è necessario stare insieme per sentirlo, un sentimento incondizionato che include la possibilità di separare, rompere, destrutturare. Parlo di quella sensazione di malessere che ti dice che lui in quel momento sta male come te. La vibrazione che ti allenta le spalle quando sai che sta bene ovunque sia. La musica condivisa che ti fa piangere o ballare insieme a chilometri di distanza. Poi c’è l’attrazione, la passione, la vicinanza che è perfetta e talvolta diventa un ostacolo; allora si può cambiare, ma questo tipo di operazione, che a tutti gli effetti è un’operazione chirurgica, fa male! Comprendere, comprendersi, mettersi in discussione, accettare è difficile! Destrutturare ciò che abbiamo creato in anni di ferite e convinzioni è doloroso. Per non parlare del fatto che ci vuole culo! Non intendo la fortuna che preclude ciò che è destinato a te, ma quella di esserci in quel momento, di veder passare quella persona, di non essere distratta dalla vita che hai costruito intorno a te per non crollare.
Tante volte, con la nostra dissociazione cognitiva, i veli sui nostri occhi non ci permettono di vedere la realtà. Altre volte la realtà ci coglie alla sprovvista in mezzo a una mattina mite, apparentemente normale; tu fai il bucato e tutto ciò che hai disegnato intorno a te è un bel quadro appeso alla parete principale del salotto. E lì arriva lui, passa come un terremoto, butta giù tutto e tu non fai nulla. Lo guardi, lo senti, tremi e quando ti svegli è lì che ti dà una mano a raccogliere i cocci: Ma chi cazzo è questo? E come glielo spiego alla me di ieri? A mio padre? Al mio paese? Al mio mondo?
Credo che la sensibilità d’animo che fa soffrire sia proprio quello strumento che ti permette di rimanere attaccata a quelle persone, passando da momenti in cui le definisci tossiche a momenti in cui le definisci la peggior condanna della tua vita; momenti in cui sei certa che lo lascerai perché non è possibile continuare a saltare su e giù dai dirupi, eppure ogni passettino avanti in connessione profonda con quella persona distante e vicina tira fuori una parte migliore di te. O meglio, sei tu che tiri fuori la parte migliore di te stimolata da un sentimento che fa da binario al tuo treno sgangherato.
Nella mia storia sono uscita da una guerra a cuori scoperti totalmente devastata e forse in quel momento, in quel campo di battaglia con il sangue addosso, sporca e mentalmente instabile, ho incontrato una persona che non mi sembrava così diversa da me: con il sangue addosso, sporca e mentalmente instabile.
Prima non ci saremmo guardati, il dopo non ci sarebbe stato senza quell’incontro. Non vi parlerò di una relazione e neppure delle persone, ma sicuramente dell’estratto che mi ha permesso di comprendere che l’amore incondizionato non è appartenenza, che l’amore incondizionato talvolta è sofferenza e incomprensione. C’è una storia, c’è forse un romanzo, che sta crescendo a due voci, ma probabilmente avrà necessità di crescere come un figlio e prima di parlare ci metterà almeno un anno.
L’amore, come dice Galimberti, è una trasformazione dell’io, un’esperienza che ci disorienta e ci cambia profondamente. Nel suo libro “Le cose dell’amore” sottolinea come l’amore sia una forza che ci porta oltre noi stessi, un’esperienza che ci fa perdere il controllo e ci mette in contatto con l’alterità (concetto opposto all’identità in filosofia ). Ed è proprio quando i comandi non funzionavano più, quando volevo mantenere la rotta prestabilita, ma il cuore in fibrillazione andava in aritmia e confondeva la mente, lì ho incontrato la mia follia. Mi ha spaventata, mi ha cambiata. Ho sentito vibrare l’anima e ho scritto quaderni interi, ho visto me dall’alto dinnanzi a un dipinto vestita alla Stendhal di disarmo emotivo. Quando la musica è diventata silenzio ed ha accordato quell’aritmia ventricolare, quando la sua follia ha scoperto la mia, io ho scoperto una me stessa spaventosa e adorabile.
L’amore richiede la capacità di aprirsi al diverso, alla “follia” dell’altro, e di lasciarsi fecondare da questa.
Ne nasceranno piccoli aliens spaventosi, ma tu puoi vestirli da bambole, agghindarli per il tè e chiacchierare facendo finta di essere una donna con le solite nostre pippe mentali!
Nataly Write